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Mamme e carriera: qualche pensiero sparso

Ho raccolto qualche pensiero sparso qui e là, riflessioni a caldo di alcune donne di diversa età, tutte mamme. Ho chiesto loro qual è la prima cosa che viene in mente quando pensano alla propria realtà di madri e professioniste.

M. ha quasi 55 anni, è madre di due figlie già adulte e ha risposto che per lei entrambe gli aspetti sono ampliamenti irrinunciabili di sé; "A volte ho provato senso di colpa verso le mie figlie (…) però; è anche un dono, credo di essere stata per loro un esempio. La donna può; essere tante cose, non si esaurisce nel ruolo di madre. Va detto però; che sono stata molto fortunata, i miei orari lavorativi coincidevano con quelli scolastici delle mie figlie, per chi non ha questo privilegio deve essere un impegno enorme organizzarsi." Perché gli asili nido hanno costi proibitivi e non tutti si possono permettere una baby sitter, perché c'è poca flessibilità negli orari di ufficio e molti altri ostacoli ancora.

N. di anni ne ha quasi 28, è una felicissima neo-mamma e ha detto che per lei la maternità è sempre stata un obiettivo, e questo ha influenzato anche la scelta della professione. "Lavoro part-time, in realtà da prima di diventare mamma. Ciò;, insieme alla fortuna di non dover impegnare tutti i giorni della settimana, mi consente il grande, grande lusso di potermi organizzare in modo da incastrare e conciliare positivamente vita professionale e familiare. Diciamo che il supporto di cui ho effettivamente avuto bisogno (psicologico, emotivo, economico anche), più che dall'organizzazione del lavoro italiana è arrivato e continua ad esserci da parte della famiglia, del mio compagno, degli amici, di altre meravigliose mamme."

F. è una mamma di 42 anni, sua figlia va alle elementari: la sua esigenza principale fin da subito è stata quella di poter passare più tempo possibile con la bambina. "Ho avuto la 'fortuna' di essere messa in cassa integrazione dalla mia ditta, il che mi ha praticamente regalato un anno da passare con mia figlia. Dopodichè, sempre la mia ditta mi è venuta incontro concedendomi un part-time al 50%. Tutto questo ha inciso in due modi sulla mia vita: ho potuto passare sicuramente molto più tempo con mia figlia rispetto ad altre mamme (...); d'altra parte ho dovuto fare delle grosse rinunce. Personalmente trovo che la maternità non sia adeguatamente supportata a livello economico in Italia: i costi degli asili nido sono altissimi, le giornate in cui una mamma deve assentarsi da lavoro a causa delle malattie del proprio bambino non sono retribuite; mi sembra che non ci sia un supporto adeguato a livello sociale. Non a caso le famiglie sono sempre meno numerose e i giardinetti pubblici pullulano di nonni e nonne con nipotini al seguito, dato che i parenti sono ovviamente i baby sitter più economici!"

Poi ci sono le riflessioni di X: "Dopo 12 anni, mi hanno lasciato a casa. La maternità é stato un mezzo per approfittarne: mi hanno lasciato in una situazione di disagio estrema. Ho lavorato fino all'ottavo mese di gravidanza perché sapevo che non avrei avuto la maternità pagata; ho passato otto mesi a casa senza maternità ed un mutuo da pagare e un mese prima del mio rientro mi comunicano che non c'è più bisogno di me. Avere 37 anni e una figlia di pochi mesi rende complicato trovare un altro lavoro perché ai colloqui, anche se illegale, chiedono se hai figli e di che età quindi nella mia situazione ho tante porte sbattute in faccia. X ci ha spiegato che fatti quattro conti le conviene rimanere a casa con la bambina, che ha tanto desiderato, fino a che la piccola non sia in età da asilo. "Passeremo tre anni a tirare la cinghia. Questa é la situazione che mi si presenta di fronte ed i miei ex datori di lavoro ne erano ben consapevoli prima di darmi la bella notizia. Come mi sento? Nonostante il mio valore come lavoratrice sia emerso in tutti questi anni, avendone riscontro sia da parte dei clienti sia da parte di diversi datori di lavoro, mi sento di non valere una cicca. Antiche insicurezze sono riaffiorate meschine e mi sento di non aver valore, professionalmente parlando. E maledico i miei ex datori di lavoro, perché mi hanno portato per un istante, uno solo, a pensare che se non fossi rimasta incinta io un lavoro ancora ce l'avrei. In Italia la madre lavoratrice non viene tutelata, torni dalla maternità, e ti fanno scontare tutto il tempo che sei stata via, ti cambiano mansioni, ti fanno sentire in colpa se devi stare a casa perché tuo figlio è malato ecc. é una situazione molto drammatica, non si ha più diritto alla maternità, non si ha più diritto alla famiglia. Ora, a 37 anni, mi ritrovo a chiedermi cosa farò; da grande: per la prima volta nella mia vita non lo so."

Questi sono frammenti di vite private, un piccolissimo mosaico da cui emerge la bellezza - a tratti amara - della pluralità di voci di donne e mamme coraggiose. E poi ci sono i dati statistici, decisamente meno poetici, che però; hanno il merito di uniformare il mosaico in una fotografia. Che ritratto è uscito dai dati raccolti negli ultimissimi anni su lavoro e maternità?

L'agenzia Ansa alcuni mesi fa ha verificato tramite un questionario online se la maternità possa essere un freno per la carriera delle donne e, se sì, se questo avvenga solo in alcuni Paesi. Purtroppo è emerso che la maggioranza delle donne che ha risposto al questionario crede che i figli siano effettivamente un ostacolo alla carriera e questo si riflette sugli indici di natalità.

L'Europa è il "vecchio continente" di nome e di fatto e l'Italia è il fanalino di coda, con un indice di 1.33 figli per donna - che in sé potrebbe non essere un dato negativo in assoluto. Ma c'è di più: è anche il Paese nel quale, secondo l'Osservatorio Mobbing Nazionale, almeno 350 mila donne sono discriminate nell'ambiente lavorativo a causa della propria maternità. L'Italia quindi, oltre ad essere "un Paese per vecchi" è anche il fanalino di coda per la parità tra i sessi nel contesto europeo, e va da sé che i due fenomeni sono correlati.

Cosa ci raccontano questi dati? Delineano un quadro dal quale emerge prepotente una diseguaglianza di genere sulla quale molto ci sarebbe da dire e da fare. Ci raccontano di un Paese che sta invecchiando vertiginosamente perché le donne giustamente non vogliono essere stare a casa, ridotte ad angeli del focolare, ma se le pari opportunità rimangono su carta il risultato è inevitabilmente quello di costringerle a scelte talvolta dolorosissime. Insomma, il prezzo da pagare lo pagano le donne.

Le testimonianze raccolte sono in linea con i dati statistici: sembra inevitabile che gravidanza e maternità siano considerate elementi di conflittualità, almeno per quanto riguarda il mondo del lavoro. Inevitabile in una realtà che parla al maschile, nella quale aumentano le lavoratrici irregolari e le neo-mamme disoccupate dopo il parto. E questo non può; che essere disincentivante per tutte le giovani donne che vogliono la propria indipendenza ma vorrebbero anche diventare mamme.

Paradossalmente, nel discorso pubblico la maternità gode di grande benevolenza: nessuno sarebbe disposto ad ammettere di non vedere di buon occhio le proprie dipendenti o collaboratrici che hanno scelto di avere figli. Allo stesso tempo all'approvazione sociale non fa riscontro un supporto effettivo rivolto alle donne-mamme da parte dello Stato. Anzi: ci si aspetta prestazioni lavorative pari a quelle degli uomini – con un divario salariale tutto a favore di questi ultimi, a parità di titoli – ma anche la cura della casa e della famiglia. Va bene che le donne siano produttive, manodopera efficente a prezzo scontato, ma si fa una gran fatica a pensarle come soggetti indipendenti tutelati dalla legge e non dal proprio ruolo al fianco di un capo famiglia.

A questa realtà va aggiunto che oltre a mancare un'azione mirata all'eliminazione delle cause di discriminazione contro le donne – perché è di discriminazione vera e propria che parla anche l'Istat in un'audizione alla Commissione del Lavoro della Camera nel 2015 - spesso manca anche una cultura paritaria tra le mura domestiche. Insomma, tra vite private e dati pubblici abbiamo un quadro molto variegato nel quale colpisce la contraddizione tra principi e pratica, tra privato e pubblico, tra una società in cambiamento e la lentezza delle risposte istituzionali.

Si giocano grandi partite a suon di retorica sul tema della "famiglia" ma non si è disposti a tutelare le famiglie reali, che esistono già, attraverso il riconoscimento di nuovi modelli genitoriali, in primis quello delle madri che lavorano e pertanto hanno esigenze specifiche, decisamente diverse da quelle delle famiglie di alcuni decenni fa.

Esempi virtuosi a cui attingere ne abbiamo, senza scomodare i casi eclatanti scandinavi: in Germania, per sostenere la natalità e la famiglia, è fissato un periodo massimo di congedo dal lavoro di tre anni per il neo-genitore nel quale il datore di lavoro è legalmente obbligato al reintegro senza alcuna variazione di contratto e mansione. Durante questo arco di tempo i contributi e l'assistenza sanitaria continuano ad essere pagati al cittadino dallo Stato, che versa una cifra pari a quasi il 70% dello stipendio.

Ma, cosa ancor più significativa, i beneficiari del contributo statale possono essere entrambi i genitori. Non è solo la neo-mamma ad essere pensata come genitore preposto all'accudimento, ma la coppia. Mamme e papà hanno entrambi diritto al congedo dal lavoro per occuparsi dei figli, e hanno altresì diritto di lavorare part-time da casa senza per questo rinunciare al contributo statale. Indicativo di questa mentalità è il fatto che a Berlino esistano bagni pubblici con fasciatoi e water per bambini sia nei bagni delle donne sia in quelli degli uomini, perché anche i papà si trovano a dover cambiare il pannolone al pupo!

Ecco, molto più dei bei sermoni sul valore della famiglia sono queste piccole grandi rivoluzioni a sostenere chi è o vorrebbe essere madre: una strada che non passa dai moralismi ma dall'etica pratica. Piccoli grandi gesti di civiltà, che partono dal riconoscere alle donne innanzitutto il loro valore come persone e cittadine, dentro e fuori casa.
Anche perché, in un momento di transizione come quello che viviamo oggi, stanno ampiamente dimostrando di essere estremamente ricettive, in grado di accogliere i cambiamenti e farne delle opportunità anche quando la realtà sembra giocare nettamente contro.

Articolo scritto da: Gloria Avolio