Educazione: perché dire di no fa bene

La Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia compie oggi ventisei anni: il 20 – 11 – 1989 l’ONU approvava la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza composta da 54 articoli più tre protocolli opzionali, basata su quattro principi fondamentali che tutelano il bambino sul piano giuridico.

Ancora molto rimane da fare ma rispetto al passato la tutela dell’infanzia ha fatto passi da gigante, percorrendo la via dei diritti fondamentali e, nello specifico, dei diritti umani. Su scala globale questo rimane senz’altro un cantiere aperto ma se spostiamo lo sguardo su un fronte diverso e locale, troviamo educatori, pedagogisti e psicologi allarmati dal lassismo educativo che sta avendo ampio riscontro nella società “occidentale”.

Tra i quattro principi fondamentali su cui poggia la Convenzione, c’è quello dell’ Ascolto delle opinioni del minore (art. 12) che sancisce il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.

Questo è un principio giuridico, chiaramente fondamentale per la tutela dei minori. Ma è diventato in un certo senso anche un approccio relazionale genitore-figlio, e non senza generare una serie di paradossi. In questo post vogliamo spendere qualche parola a favore dei “no”, cercando di capire perché porre delle regole chiare e dei limiti non vada nella direzione contraria all’ascolto del bambino e delle sue necessità.

Perché se l’educazione autoritaria di qualche generazione fa ha lasciato il posto ad un approccio più rispettoso dell’infanzia, fondato sulla partecipazione affettiva al mondo del bambino e alle sue fasi di sviluppo, non di rado capita che questo venga erroneamente tradotto in assenza di regole: decide il bambino.

Invece i bambini hanno bisogno di regole. L’autorevolezza di una guida è fondamentale per un sano sviluppo e la neuropsichiatra Giuliana Ukmar, nel suo celebre libro Se mi vuoi bene dimmi di no, ci spiega perché usando una metafora. Se ci si trova in una stanza buia, la reazione immediata è quella di camminare con cautela cercando una parete con l’interruttore della luce o una porta. Ma se per quanto cammini non trovassi mai la parete? Sarebbe un incubo davvero spaventoso. Analogo alla realtà che vivono i bambini in assenza di regole.

Un bambino libero non è un bambino che cresce in un ambiente anarchico. Non esiste libertà in assenza di regole bensì arbitrio, e il rischio non è solo quello di creare un piccolo tiranno viziato, ma un bambino profondamente infelice perché disorientato e sradicato. Un bambino depresso (nel senso più ampio del termine), che non riesce ad attribuire valore ad alcunché.

Edificare un sistema di regole chiare e coerenti, all’occorrenza trattabili e sempre ragionevoli, al contrario genera argini che metaforicamente contengono il flusso del fiume senza limitarne il corso. Nella nostra società esistono regole costitutive che non limitano l’espressione individuale bensì creano dei diritti, funzionando da garanzia per la libertà individuale. Allo stesso modo funzionano i limiti posti all’arbitrio – non dall’arbitrio – di quelli che saranno gli adulti di domani.

Ben diverse dalle regole arbitrarie valide sempre perché imposte da un potere “gerarchicamente superiore” (quello genitoriale), qui si tratta piuttosto di un laboratorio democratico che educhi al valore delle proprie responsabilità e alla scoperta graduale del proprio spazio di azione – necessario per acquisire autostima e consapevolezza del proprio potenziale –, e dei propri limiti – necessari per mantenere un sano rapporto con la realtà.

Anche i limiti, i “No”, in futuro saranno terreno di scontro per l’autoaffermazione di un figlio non più bambino: superare i propri limiti, oltrepassare le Colonne d’Ercole, da che mondo e mondo è il motore che muove l’uomo. Ma questo accadrà solo se intorno al bambino è stato creato un mondo relazionale con adeguati punti di riferimento, un porto sicuro dal quale salpare fatto di modelli chiari e riconoscibili, degni di rispetto.

Spesso sembra più facile evitare il conflitto avvallando un capriccio e concedendo carta bianca ai più piccoli. Sembra mettere tutti in pace, piccoli e grandi. Eppure è proprio attraverso un’adeguata e coerente gestione del conflitto che vengono forniti ai bambini gli strumenti per diventare adulti responsabili e liberi. Che “giocano” nel rispetto delle regole.

Perché tutelare l’infanzia significa molte cose a seconda del contesto, e se purtroppo ancora troppi bambini sono vittime di abusi, d’altra parte molti altri sono vittime della società dei consumi, abituati sin da piccolissimi a vedere soddisfatti i propri bisogni affettivi attraverso oggetti materiali piuttosto che attraverso una solida presenza genitoriale, capace di dire di no con la serenità di chi sa cosa sia meglio.