Li chiamano “nativi digitali”, un termine coniato per la prima volta nel 2001 da Marc Prensky, studioso americano di problemi educativi. Sono i giovani, ragazzi ma sempre più anche bambini, che vivono quotidianamente un impatto e un contatto intenso con la tecnologia. Se un tempo, infatti, la questione era semplicemente (si fa per dire) si o no televisione e fino a che età, oggi il tema è ben più complesso e vasto. Computer, internet, Playstation sono divenuti parti integranti della vita di ogni famiglia e, di conseguenza, dei bambini con una rapida ascesa a partire dagli anni 2000 per poi giungere, recentemente, alla diffusione sempre più ampia di Smartphone e Social networks.
La pervasività e l’apparente innocuità di questi sistemi digitali ha portato sempre di più i genitori ad allentare la presa nei confronti dell’uso che ne possono fare i bambini: ed ecco che, se un tempo (nemmeno troppo lontano) la baby sitter era stata sostituita dalla televisione, oggi è diventata la norma assistere a scene quotidiane sui mezzi pubblici o al ristorante, ad esempio, i più piccoli (anche di solo uno o due anni di età) vengono tenuti “a bada” da un telefonino, con video, immagini, cartoni animati. Allo stesso modo, quella che era la socialità per i più grandicelli, magari vissuta all’interno di uno spazio come il cortile o il giardino di casa insieme ai vicini o con i compagni di scuola, ora viene gestita da contatti effimeri, virtuali, privi di sentimenti reali, con Facebook, Instagram o simili. E’ come se il vecchio “gioco di società” insieme, in cui ci si confrontava e ci si arricchiva interiormente, fosse stato sostituito da un nuovo gioco fatto di illusione e apparenza.
I dati sono allarmanti: secondo uno studio recente condotto dal Centro per la salute del Bambino Onlus di Trieste, in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri, condotto nel 2016, il 60% dei genitori consente ai figli di 2 anni di utilizzare il cellulare, una percentuale che cresce fino all’80% per i bambini di 5 anni.
Lo stesso studio ha evidenziato, poi, le conseguenze di questo utilizzo precoce e smodato della tecnologia: aumento dei rischi di obesità, disturbi osteoarticolari, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2, dovuti alla sedentarietà e, spesso, al contemporaneo consumo di cibi “spazzatura” (merendine, bevande gassate e zuccherate) durante il tempo trascorso davanti a cellulari e videogames. Dal punto di vista psichico e sociale, invece, si manifestano irritabilità, ansia, disturbi del sonno, aggressività, scarsa volontà, difficoltà di concentrazione e apprendimento oltre che una “fuga” dalla relazioni umane reali. I bambini piccoli, ma anche quelli più grandicelli, hanno una necessità prioritaria di sperimentare un contatto con il mondo, la natura attraverso i cinque sensi: l’esplorazione, il gioco, la manualità, il movimento sono di grande beneficio dal punto di vista non solo animico ma anche fisico. L’interazione con i propri pari, lo sperimentare, il comprendere i limiti anche semplicemente giocando rappresentano già di per sé un primo passo per un sano sviluppo di quelle che saranno poi le relazioni sociali anche da adulti. Quello che non viene compreso, infatti, è che i giovani non sono in grado di sviluppare un’esperienza, un processo digitale, fino a quando non avranno già interiorizzato un’esperienza di tipo sociale che passa, inevitabilmente, attraverso la sperimentazione della realtà diretta della vita. Il bambino, infatti, non è un “piccolo adulto”: per questa ragione può; utilizzare (in maniera prevalentemente indiretta) quelle che sono le tecnologie appropriate per l’età: ad esempio, l’ascolto di brani musicali, il parlare al telefono con un amico o un parente, vedere filmati adatti mai prima dei tre anni e, solo se davvero necessario, avvicinandosi perlopiù ai 12.
La tendenza, sfortunatamente, è ben diversa: a confermarlo è un’altra indagine presentata da un convegno sul digitale organizzato dal Simpef, Sindacato medici pediatri di famiglia. Secondo lo studio (elaborato sulla base delle risposte a un questionario), sette bambini e pre-adolescenti su dieci, in una fascia di età compresa tra i gli 8 e i 13 anni, fanno uso del strumenti informatici, quali smartphone e computer tutti i giorni e, di questi, circa il 23% lo fa senza alcuna limitazione temporale e senza alcun controllo da parte dei genitori.
Non si tratta, tuttavia, di demonizzare la tecnologia, ma di comprendere con saggezza quali sono i limiti e quale deve essere la supervisione nel loro utilizzo degli adulti. Come già accennato, infatti, le conseguenze di un uso precoce e smodato non sono indifferenti: lo aveva già affermato l’American Academy of Pediatrics e una convalida è arrivata, nel 2018, anche dalla Società Italiana di Pediatria secondo la quale i bambini da 0 a 2 anni non dovrebbero mai essere esposti all’uso di strumenti tecnologici (televisione compresa), dai 3 ai 5 anni l’esposizione dovrebbe essere limitata a un’ora al giorno (se non evitabile) e dai 6 ai 18 al massimo due ore al giorno. E’ evidente, quindi, come la realtà sia ben diversa da queste raccomandazioni ufficiali, le cui ragioni sono state ben esplicitate e meritano molte riflessioni.
Tra 0 e 2 anni, infatti, il cervello dei bambini aumenta di tre volte le sue dimensioni: una stimolazione eccessiva (contrariamente a quello che si pensa) non agevola lo sviluppo ma, al contrario comporta ritardi cognitivi, deficit di attenzione (di cui tanto si parla, attribuendone un valore patologico da curare farmacologicamente), difficoltà di apprendimento, scatti di ira improvvisi. Le immagini rapide, veloci, senza tregua e sincopate dei monitor di televisori e computer rappresentano quanto di più lontano dalla lentezza, dal ritmo e dalla tranquillità così benefici per i più piccoli causando difficoltà di concentrazione.
Non solo: mentre i genitori sono convinti che l’utilizzo di dispositivi digitali faciliti un apprendimento precoce, è bene sapere invece che accade esattamente il contrario. L’eccessiva sedentarietà, oltre a predisporre maggiormente ad obesità, limita lo sviluppo delle capacità di movimento che, a loro volta, hanno un’incidenza negativa sull’attenzione e l’apprendimento.
Dal punto di vista fisico i danni non si fermano qui: si possono manifestare tendenza ad autismo, psicosi, depressione infantile, aumento dell’aggressività (che spesso ha origine anche nelle scene di violenza di molti videogames), dipendenza, oltre ad emissione di radiazioni dannose con problemi neurologici. Anche il sonno ne risente: l’utilizzo di apparecchi tecnologi in camera disturba il normale riposo con conseguenze nell’apprendimento diurno.
La società moderna, dove il tempo per le relazioni sociali e famigliari è sempre più ridotto all’osso, ha fatto sì che per molti genitori smartphone, social e videogames, siano diventati un’ottima soluzione per compensare l’assenza in casa e l’incapacità di entrare in una reale sintonia affettiva con i figli. Il risultato è un rapporto ancora più vuoto e sterile tra adulto e bambino/ragazzo con difficoltà educative concrete.
L’invito, quindi, ai genitori è di sviluppare un rapporto sano e reale con i bambini, di incentivare il gioco libero e il movimento, di privilegiare l’esperienza diretta della vita, tanto nell’ambito naturale quanto in quello sociale. Solo quando questo processo sarà compiuto (e non lo sarà fino almeno ai 12 anni e poi, ancora, dopo i 14 con lo sviluppo della capacità di giudizio critico) i giovani potranno accedere alla tecnologia senza esserne alla mercé o sopraffatti ma trasformandola in uno strumento di reale utilità.