“Se toccasse a me, darei una bella sculacciata a quel bambino capriccioso!”. Una frase ricorrente che, non di rado, le mamme sentono pronunciare da persone anziane, magari proprio dai nonni . Un tempo, infatti, educazione faceva rima con punizione: i comportamenti scorretti, le “marachelle”, i brutti voti a scuola, venivano puniti – a casa come a scuola – in maniera decisa, talvolta anche violenta con schiaffi, bacchettate sulle mani, isolamento e quant’altro.
Un metodo, questo, che alcuni genitori mettono in pratica anche attualmente convinti che questo sia il modo migliore per risolvere una situazione complicata, impartire una regola o, come si dice in maniera piuttosto infelice, “dare una lezione”: in pratica perché la ritengono una buona, o forse la migliore e unica, via educativa.
Negli ultimi anni, fortunatamente, si è imposta una visione diversa: il bambino è un essere degno di rispetto e ascolto al pari dell’adulto, le impressioni, i traumi e il vissuto da piccoli hanno una grande influenza rispetto alla vita futura e all’autostima.
Tuttavia, anche nel ventesimo secolo, molti genitori credono ancora fortemente nella validità e nel valore della punizione. Le ragioni sono diverse:
-molte persone ritengono che siano inevitabili, per evitare che i bambini prendano il sopravvento sugli adulti
-per altre, si tratta di riflessi condizionati, di modalità apprese e interiorizzate perché già vissute nella propria educazione infantile e diventate una sorta di patrimonio ereditario
-per altre ancora, è più facile agire con autorità senza provare ad ascoltare i bisogni dei bambini e a comprendere che dietro a quello che viene definito genericamente come “capriccio” si celano necessità e disagi reali.
Quando poi dal pensiero si passa all’atto pratico si trova solo conferma alla teoria perché spesso, suo malgrado, il bambino si sottomette quasi immediatamente alla punizione, obbedisce per paura e, nonostante le resistenze iniziali, cede al rimprovero.
Sembrerebbe, quindi, un ottimo sistema educativo: sfortunatamente, però;, si sottovalutano le conseguenze che si potranno evidenziare non a breve ma a lungo termine, nel corso dell’adolescenza.
Sarà il ragazzo o la ragazza, una volta superata la fase infantile, a presentare il conto attraverso atteggiamenti ribelli, di non ascolto, di mancanza di fiducia e reciprocità.
Le conseguenze di un’educazione basata sulla punizione (ben diversa da circostante occasionali in cui capita di perdere la pazienza) sono infatti ben evidenti nel bambino e avranno, nel tempo, ripercussioni sulla futura relazione con i genitori e con le altre persone dal punto di vista sociale.
Un bambino che ha ricevuto un’educazione rigida e autoritaria, con punizioni continue, svilupperà con gli anni:
– mancanza di autostima e senso costante di inadeguatezza
– perdita di fiducia nei confronti dell’adulto
– sensazione di non poter essere compreso e ascoltato
– convinzione che esista un giudice esterno (ma anche interiore) da ascoltare passivamente e al quale sottomettersi.
Nonostante molti genitori siano consapevoli o si accorgano, con il tempo, di questi atteggiamenti persistono nelle punizioni: perché? Spesso perché si tratta di un comportamento automatico, impulsivo e incontrollabile e che serve più a chi la infligge che a chi la subisce, perché ha una funzione liberatoria (nonostante il senso di colpa che può; presentarsi). Il bambino, però, al contrario non ne trae alcun vantaggio: apprende, però;, la paura, lo sconforto, la solitudine, l’inadeguatezza.
Recenti studi sostengono che una volta ricevuta la punizione il bambino persevererà nell’errore e non il contrario, si sentirà tradito e insicuro sviluppando rabbia e risentimento verso chi l’ha punito, sfociando anche in aggressività. Non solo: spesso svilupperà predisposizione alle bugie e a fare le cose di nascosto per il timore di ritorsioni da parte dei genitori.
Che fare quindi?
Fermo restando che la soluzione non è “lasciar fare ai bambini ciò; che vogliono”, è possibile stabilire regole ferme e no netti ma che abbiano un senso e una finalità, senza mortificare il piccolo. Il genitore, l’educatore, dovrà essere non una figura autoritaria, bensì autorevole e degna di rispetto e imitazione da parte del bambino.
Alcune soluzioni alternative, quindi, possono essere:
-nel momento in cui manifesta rabbia o un capriccio (che in realtà sottende a un bisogno reale), si può; lasciare un attimo che si calmi su una sedia per riflettere e riprendere il controllo di sé
-frasi come “capisco che desideravi il gelato, ma in questo momento non possiamo prenderlo. Lo faremo nel pomeriggio” fanno sentire il bambino compreso e ascoltato nel suo sentire profondo, motivando il rimprovero e il divieto.
-se il bambino ha compiuto un gesto inconsulto (come rompere un oggetto) magari in un momento di rabbia, si potrà cercare una via per rimediare in maniera costruttiva: incollandolo, aggiustandolo insieme, aiutando il genitore a sistemare.
-è possibile prevenire momenti di scontro e di rabbia stabilendo regole che vengano vissute in maniera positiva. Non quindi il semplice divieto “No! Non puoi andare al parco giochi!” ma “Per andare al parco giochi devi prima finire il tuo pranzo”: non si tratta di un ricatto (che andrebbe posto invece con un “se vuoi andare al parco giochi”) ma di una condizione, di una conseguenza necessaria.
-si potranno stabilire regole insieme al bambino, molto semplici: sarà importante ricordarle e rispettarle senza cedere ma in serenità. Ancora una volta non semplici e sterili divieti ma “la regola è che si guarda la televisione solo la domenica, ricordi?”. Una volta appresa il bambino la farà sua e non opporrà più resistenze perché saprà che da parte dell’adulto c’è coerenza e onestà. ancora una volta i riti, le canzoni, i racconti attraverso immagini, sono più efficaci di mille parole: non sono necessari lunghi discorsi, soprattutto se il bambino è molto piccolo. Apprenderà che a una certa ora, dopo la fiaba e quando si abbassano le luci, si va a nanna; che i tre orsi della fiaba si comportano meglio della dispettosa Riccioli d’Oro; che quando si canta una certa canzoncina è ora di lavare le mani e così via.
Infine, quando il castigo proprio non può; essere evitato (escludendo in ogni caso tassativamente la violenza!) non deve diventare una punizione fine a sé stessa ma deve aiutare a sviluppare consapevolezza, a migliorare. O, in altre parole, a purificarsi: in questo consiste la vera educazione.
” Ci sono soltanto tre modi efficaci per educare: con la paura, con l’ambizione, con l’amore. Noi rinunciamo ai primi due. “
Rudolf Steiner