E’ ormai diffusa la consapevolezza che per costruire una società giusta, che renda storia passata le discriminazioni con cui nostro malgrado conviviamo, la strada passa obbligatoriamente dall’educazione. Come scrive Benedetta Gargiulo, “la lotta agli stereotipi di genere è una lotta di libertà e di ricerca della felicità”, non qualcosa di accessorio nel vasto mare di rivendicazioni più urgenti.
Non è possibile uscire dalla limitazione dei ruoli rigidamente imposti a partire dalla primissima infanzia se non fornendo alle nuove generazioni modelli diversi e strumenti adatti per orientarsi in modo nuovo in un mondo nuovo – e più equo. Un mondo di opportunità accessibili dove il sesso, qualunque esso sia, e il genere, comunque si scelga di agirlo, non costituiscano una barriera discriminatoria.
Diversamente non è possibile dare un contenuto ai discorsi di meritocrazia e pari opportunità. Non solo: con la rigida divisione dei ruoli sociali si perde tanto del potenziale che riposa in ogni persona, ben oltre gli stereotipi che diciamolo, sono prigioni. In questo senso va perduto un capitale in termini umani e si sacrifica larga parte del potenziale personale in nome di un modello astratto e vuoto.Un modello implicitamente violento perché repressivo.
Per evitare questo, e l’impoverimento individuale, sociale, culturale che ne deriva, è evidente la necessità di un’educazione che smetta di categorizzare secondo modelli sessisti. Questo molto semplicemente significa ripensare criticamente le narrazioni che utilizziamo per rappresentare maschi e femmine e i rispettivi ruoli sociali: il potenziale cognitivo ed esistenziale è comune, non esistono differenze!
Non esistono giochi da maschio e giochi da femmina: esistono talenti e infinite sfumature che rendono ogni bambino unico, ed è proprio quell’unicità il valore aggiunto.
Per questo – sembra contraddittorio ma non lo è – educare alla valorizzazione della differenza: mentre a livello esistenziale bambine e bambini possono pensare a se stessi attraverso tutti i colori dell’arcobaleno, è bene invece che conoscano le differenze biologiche che caratterizzano i sessi e che possano quindi autodeterminarsi, prendendo decisioni consapevoli e vivendo una affettività dotata di tutte le parole che servono per orientarsi attraverso i sentimenti.
E qui si arriva al cuore nero della questione. Sembra infatti che l’educazione alla parità di genere non sia facilmente separabile dall’educazione sessuale, e in merito i Paesi europei si dividono in due grandi gruppi. Generalizzando, nel Nord Europa i corsi di educazione sessuale e affettiva sono attivi nelle scuole da diversi decenni mentre vengono ostracizzati con ogni mezzo nei Paesi dell’Europa Meridionale a prevalenza cattolica, Italia in testa.
Se a livello istituzionale la strada nel nostro Paese è ancora lunga, Benedetta Gargiulo, co-curatrice del progetto “Il Gioco del Rispetto”, parla appunto di educare i genitori alla parità per crescere bambini e bambine al riparo dalle discriminazioni: “Il regalo più bello che potete fare a una bambina è dirle la verità: le principesse si salvano da sole”. Per un approccio nuovo al genere che sia rispettoso dell’infinita varietà di sfumature e potenziali che riposano in ognuno, è fondamentale che in attesa di risposte pubbliche cambi il “lessico familiare”.
Come? Contro le facili semplificazioni, serve sicuramente che parta dai genitori una riflessione profonda che porti ad una concreta condivisione dei compiti e dei ruoli. Niente funziona meglio dell’esempio. Non è polarizzando il dibattito, passando da un modello rigido ad un altro ancora più rigido, che si rimette in gioco la libertà di diventare se stessi, bensì esercitando una attenta e profonda consapevolezza verso di sé e le proprie pratiche, a partire dalla quotidianità: coltivare i talenti, restituire dignità ai sentimenti, affermare innanzi tutto la propria libertà di diventare ciò; che si desidera diventare.