Mamme e lavoratrici: non siamo Wonder Woman!

Se non hai un figlio, la domanda fatidica: “perché non fai un figlio?”. Se il figlio ce l’hai e non sei ancora tornata a lavorare: “perché non torni a lavorare?” ma se a lavorare ci torni subito: “come, di già?”. E poi capita anche che a lavorare una mamma vorrebbe tornarci, anche a malincuore qualche volta, qualche volta no, ma il posto di lavoro è stato dato ad un’altra, senza figli, che magari metta anche nero su bianco di non volerne.

Insomma, essere donna ancora oggi significa avere il fianco scoperto perché per qualcuno “donna” significa madre, per qualcun altro madre significa dedicarsi interamente ai figli, per il mondo del lavoro donna e madre significa – spesso, non sempre per fortuna – meno produttività, meno garanzie, più richiesta di tutele: in sintesi, una grana di cui poter fare a meno.

A ben vedere c’è sempre qualcuno pronto a spiegare le donne alle donne. Anche dopo le lotte per la parità dei sessi sembra che questa raggiunta (mi concederei un punto interrogativo) parità in fondo ci imponga di nuovo uno stereotipo a cui uniformarci: professionista performante, compagna presente, madre modello.

Ma un’aspettativa così alta genera spesso un grande senso di inadeguatezza. Si tratta di un’aspettativa che appiattisce le differenze e ci vorrebbe identiche all’uomo nella sfera pubblica, salvo poi aspettarsi comunque che sia compito nostro l’accudimento della prole e della casa: insomma, sembra si vogliano tenere insieme il ruolo cucito sulle donne nel passato con le pari opportunità riconosciute oggi sulla carta.A che prezzo?

E noi? Innanzi tutto, siamo persone. Ognuna di noi ha un proprio progetto per sé, o dovrebbe poterlo avere, nonostante non sempre siamo agevolate da un mercato del lavoro poco tutelante e dal giudizio spesso impietoso della società. Come scrive Cecilia Spanu di momsatwork.it “ognuna di noi dovrebbe trovare la sua strada personale per la conciliazione dei diversi mondi”.

Certo, ci sono alcuni punti fermi da tenere presenti: è ormai un fatto comprovato che l’autonomia delle donne dal punto di vista professionale e lavorativo è il punto di partenza per la lotta alle disuguaglianze a livello globale: ecco che l’istruzione e l’indipendenza economica non sono attitudini o privilegi di alcune ma la condizione minima per poter essere persone libere e quindi genitori in grado di provvedere ai bisogni materiali e affettivi di eventuali figli.

Posto questo, dovremmo poter essere libere di scegliere: se diventare madri, senza che la maternità sia vissuta come una tappa obbligata che completa il nostro curriculum. Scegliere come suddividere il carico della prole col partner, in modo più o meno equo, a seconda delle attitudini personali e delle esigenze professionali. Gli anglosassoni dicono “to think outside the box”, pensare fuori dagli orizzonti precostituiti: la perfezione non esiste, esistono infiniti modi di aggiustare il tiro strada facendo.

E trovo bellissima la frase di Justine Romano de Le Funky Mamas in questo post

Farò; molti errori, come compagna e madre, ma mai e poi mai vorrei che i miei figli mi ricordassero come una donna che si è sacrificata”.

Ecco, questa mi sembra la chiave: una mamma felice non può; che essere una madre abbastanza buona, parafrasando il celebre psicologo Donald Winnicott. Anche quando non riesce a fare tutto “come va fatto” – o come si pensa vada fatto. Che poi, più si cerca la regola aurea più si scopre che esistono infinite opinioni diverse su quale sia il modo giusto di essere donna e madre, e forse il vero segreto è che non esiste una regola, perché siamo innanzitutto persone.

Con sogni nel cassetto, storie vissute e storie che aspettano di essere scritte, progetti in cui vogliamo credere, paure con cui convivere. E poi personalissime preferenze, opinioni, priorità e molto altro ancora: siamo esseri umani, niente di più niente di meno. Prima o poi si inizierà a ragionare in termini di individualità e non di genere, ma nel frattempo potremmo imparare a riconoscere ciò; che vogliamo, a proteggerlo, e a ridere di tutto quello che non ci appartiene veramente: non siamo Wonder Woman!

… e in questo i più grandi maestri sono proprio loro, i bambini.