Il glifosato: lunga storia di un erbicida che non smette di sollevare questioni spinose

Il glifosato è un erbicida introdotto in agricoltura negli anni ‘70 dalla multinazionale Monsanto con il nome commerciale di Roundup. La sua enorme diffusione su scala globale è legata a quella delle coltivazioni geneticamente modificate, che sono le uniche in grado di resistergli, aumentando la resa e diminuendo l’impegno per l’agricoltore. E’ attualmente l’erbicida più utilizzato, sia nelle colture intensive sia negli ambienti urbani, ma il suo largo impiego desta non poche preoccupazioni.
Vediamo perché:

L’AIRC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha esaminato tutti gli studi a disposizione inerenti i possibili effetti sull’uomo e sugli animali e nel 2015, a conclusione di una approfondita analisi, ha inserito il glifosato nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene”. In soldoni, “si tratta di sostanze per cui ci sono prove limitate di cancerogenicità nell’uomo, ma dimostrazioni più significative nei test con gli animali.”

Va detto che gli studi di laboratorio in cellule isolate hanno dimostrato che la sostanza provoca danni genetici e stress ossidativo, e che i molteplici studi condotti hanno fornito esiti largamente discordanti. Per esempio, nel 2012 un gruppo di ricercatori francesi pubblicò; su Food and Chemical Toxicology i risultati di una ricerca condotta sui ratti che evidenziava un’elevata cancerogenicità.

L’articolo è stato successivamente ritrattato, a fronte delle critiche ricevute su questioni tecniche e sull’affidabilità del metodo usato, per poi essere ripresentato per la pubblicazione su riviste di minore livello. Ad oggi le spinose conclusioni di questo studio rimangono dibattute, e se l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha dichiarato che è improbabile che costituisca un rischio di cancerogenicità per l’uomo, diversi Paesi hanno adottato misure precauzionali per ridurre l’uso inappropriato dei prodotti che presentano il glifosato tra gli ingredienti.

Misure che talvolta sembrano essere rivolte soprattutto a ripulire l’immagine delle aziende che commercializzano il prodotto: in Olanda la vendita ai privati è stata vietata nel 2014, ma le vendite in ambito professionale non hanno subito limitazioni. In Francia il ministro dell’Ecologia ha chiesto nel 2015 a vivai e negozi di giardinaggio di non esporre il glifosato sugli scaffali accessibili al pubblico, che rimane però; in libera vendita. In Italia, caso virtuoso, il Ministero della salute ne vieta l’uso in aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili; resta impiegato in agricoltura ma vietato nei periodi che precedono il raccolto e la trebbiatura, ovvero quelli in cui il pesticida finirebbe quasi tutto nei prodotti agroalimentari.

In Argentina invece il glifosato viene impiegato indiscriminatamente dal 1996, da quando il governo ha approvato la coltivazione di soia transgenica senza condurre previe indagini interne. Da allora, come riporta un articolo di Life Gate del 2015, la terra coltivata a ogm è arrivata a coprire il 60% del totale. Nelle stesse aree dove è stato spruzzato il diserbante i casi di cancro nei bambini sono triplicati in dieci anni, mentre i casi di malformazioni riscontrate nei neonati sono aumentate del 400%. E restano sommersi i numeri riguardanti malattie della pelle e delle vie respiratorie tra giovani e anziani non imputabili a cause evidenti.

Insomma, anche se non esistono evidenze scientifiche tali da mettere al bando il glifosato in modo definitivo, il sospetto che ci sia un interesse multinazionale in gioco e che questo talvolta valga economicamente molto più dei costi in vite umane, rimane alto. Sempre l’AIRC scrive qui che “In sostanza il caso del glifosato rappresenta, al momento attuale, un buon esempio di sospetta cancerogenicità non sufficientemente dimostrata, nei confronti della quale le istituzioni hanno deciso di mettere in atto il principio di precauzione: non vietarne del tutto l’uso (mossa che potrebbe avere effetti negativi sulla produzione agricola) ma istituire limiti e controlli nell’attesa di ulteriori studi”.