Viviamo in un’epoca digitale, su questo non c’è dubbio. Chi scrive si sta servendo di un personal computer e chi leggerà questo post si troverà davanti allo schermo di un pc, di uno smartphone o di un tablet. Senza dare qui un giudizio valutativo, ci limitiamo a prendere atto di un fatto.
A partire da questo dato sembra più che mai importante riflettere sull’importanza dell’attività manuale nella prima infanzia: i bambini, prima di imparare a manipolare le informazioni del mondo virtuale, dovrebbero potere ancora apprendere come manipolare il mondo reale.
Le campagne pubblicitarie delle grandi aziende che si occupano di tecnologia ci vendono strumenti di distrazione di massa che spesso finiscono acriticamente in mano ai più piccoli. Con l’utilizzo del touch è possibile intrattenere anche bambini di due-tre anni, ma a scapito di cosa? C’è un prezzo da pagare?
Queste sono le domande che si pone la comunità scientifica, e la posta in gioco è alta, molto alta. Noi ci limiteremo qui a indicare i benefici di una manipolazione reale, non virtuale, fondamentale almeno in giovane età – ma non solo. Perché per la formazione di un sano rapporto tra sé e il mondo, poter giocare con lui attraverso i suoi elementi è importante.
Senza per questo demonizzare la tecnologia, che è diventata parte costitutiva della nostra vita.
Innanzi tutto il tatto è uno dei primi strumenti di apprendimento: l’udito e la vista si sviluppano solo in un secondo momento. L’esplorazione tattile prosegue crescendo, anche quando passa in secondo piano rispetto ad altre capacità più astratte. Giocare con gli elementi naturali, con la materia di cui è fatto il mondo, insegna a conoscere la fisicità delle cose e questo è fondamentale per un sano sviluppo psicomotorio, ed è ormai è riconosciuto come questo contribuisca allo sviluppo mentale e viceversa.
In questo ordine di idee lo sviluppo della manualità, anche attraverso mirati programmi scolastici come quelli che troviamo nella pedagogia Waldorf e nel metodo Montessori, diventa centrale. Che si tratti di impastare terra e acqua, tirare una corda o saltarla, modellare cera o argilla fino ad attività più complesse che prevedono l’utilizzo del telaio, dei ferri o dell’uncinetto, troviamo in queste attività l’aspetto ludico ma anche quello logico-cognitivo.
E’ soprattutto nella pedagogia Waldorf che abbiamo un’elaborazione metodologica ante litteram di queste riflessioni: al lavoro manuale viene dedicata una parte centrale all’interno del programma scolastico e non esistono distinzioni negli obiettivi pedagogici tra maschi e femmine. L’alunno/a si cimenterà con ricamo, cucito, lavoro a maglia, uncinetto, falegnameria e fabbricazione di scarpe e pantofole.
Per ragioni di brevità non potremo qui affrontare l’argomento a tutto tondo, ci basti sapere che l’importanza del lavoro manuale è stata confermata dalla neurologia: in ambito neuroscientifico la ricerca ha condotto studi che hanno dato vita e numerose pubblicazioni. Queste spiegano come lo sviluppo della motricità fine (quella delle mani, appunto) sia correlata allo sviluppo delle sinapsi, in particolare di una circonvoluzione del cervello – l’area di Broca – che presiede alla trasformazione dei pensieri in parole e alla strutturazione grammaticale.
Rudolf Steiner (l’intellettuale che ideò; la pedagogia Waldorf) sostenne quindi l’esistenza di un “senso della parola”, direttamente dipendente dallo sviluppo della motricità fine, grazie allo svolgimento di attività manuali. Questo senso sarebbe anche collegato, oltre alla capacità di parlare e di partecipare attivamente al processo di significazione, con la capacità di imitare, simulare e codificare azioni e comportamenti altrui.
Possiamo dire ora, dopo la scoperta dei neuroni specchio, che Steiner aveva intuito con grande anticipo come la motricità fine e il correlato sviluppo di alcune aree cerebrali siano direttamente responsabili della capacità di codificare gli stati mentali.
Ma c’è dell’altro: cucire, lavorare a maglia, lavorare all’uncinetto richiedono l’esecuzione seriale di gesti conseguenti legati tra loro da rapporti non arbitrari. Da qui l’analogia con la logica e l’idea che il lavoro manuale sviluppi le capacità logiche, quelle che permettono di produrre inferenze, deduzioni e induzioni in modo pertinente, e non creare legami arbitrari.
Ricapitolandone il valore pedagogico, le attività manuali accrescono e potenziano le capacità psicomotorie, lo sviluppo cognitivo e quello strettamente legato al pensiero, un pensiero che non sia razionalistico ma razionale – un pensiero capace di riflettere su di sé e sulle proprie fallacie. Infine, fabbricare cose utili a partire dalle proprie possibilità fa dire al bambino “io posso!” e questo infonde autostima e accresce la forza di volontà.
Insomma, se la luce abbagliante del tablet assorbe, estraniando dalla realtà, il silenzio della materia chiede di partecipare al mondo in modo attivo. Di porre interrogativi e intessere relazioni.
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