Perché chi è attento alla propria salute e a quella dei propri figli dovrebbe preferire il cotone organico, ottenuto da agricoltura biologica? La dicitura 100% puro cotone sembra essere una garanzia ma purtroppo non è (più) così.
Il cotone continua a detenere il primato come fibra tessile più usata a livello globale, venendo scelta nel 47% dei casi, ma proprio per questo l’industria tessile e l’agricoltura intensiva hanno lucrato enormemente su quella che è una succulenta fonte di profitto. Secondo le stime dell’ istituto di ricerche Cropnosis riportate da Altromercato, «sul cotone, che occupa il 3% della produzione agricola mondiale, si utilizzano il 19% del totale degli insetticidi e il 9% di tutti i pesticidi».
Oltre al danno ambientale ed etico, abbiamo un danno indiretto per la salute – evidente nel lungo periodo – causato dall’inquinamento delle falde acquifere, dei terreni e dell’aria; ma anche un danno diretto causato dal contatto con sostanze tossiche sulla pelle, veicolate dai vestiti che indossiamo.
Infatti nell’ultimo rapporto di Greenpeace intitolato “Piccoli mostri nell’armadio”, sono stati testati 82 articoli di abbigliamento per bambini acquistati in 25 Paesi del mondo, prodotti in 12 Paesi secondo la logica della dislocazione industriale. I marchi campionati comprendono marchi popolari, sportivi e di lusso, coprendo una fetta di mercato trasversale.
Il rapporto conferma i dati della campagna Detox: nonostante gli articoli analizzati siano rivolti a bambini e neonati, contengono le stesse sostanze tossiche rilevate in quelli per adulti. Nello specifico parliamo di Pfoa, ftalati e nonilfenoli etossilati. Queste sostanze sono tutte interferenti endocrini che possono avere effetti potenzialmente dannosi sul sistema riproduttivo, ormonale e immunitario.
Greenpeace attraverso la campagna Detox sta convincendo molti grandi marchi ad adottare formule più sostenibili e ha ottenuto importanti risultati. Questo conferma che “l’offerta” fornita dalle industrie multinazionali si può; modificare grazie alla pressione dell’opinione pubblica, ma non va dimenticato il ruolo importantissimo che spetta alla “domanda”: chi acquista deve essere informato e scegliere ciò; che dimostra di meritare fiducia.
Per questo se la coltivazione del cotone organico è ancora una timida realtà rispetto alla produzione totale, è importante sostenerla: ci garantisce la messa al bando dei prodotti chimici di sintesi e degli organismi geneticamente modificati. Utilizza fertilizzanti di origine animale e vegetale ed elimina i parassiti tramite l’uso di insetti antagonisti. Si impegna nell’uso esclusivo di semenze che abbiano subito almeno quattro germinazioni in assenza di trattamenti chimici e nella rimozione di erbe infestanti tramite trattore o a mano.
Il cotone biologico è sempre garantito da un organismo di certificazione, così come avviene per gli alimenti, e il coltivatore si impegna a tenere presenti le condizioni locali selezionando varietà adatte, evitando quindi i grandi monopoli del seme responsabili della desertificazione di diverse aree geografiche (spesso nei paesi in via di sviluppo, che vedono nelle monocolture un profitto facile e immediato senza tenere conto dei danni irreversibili sul lungo periodo).
Inoltre, fare impresa e agricoltura sostenibili, oltre a essere decisamente lungimirante (la ricerca ha ampiamente dimostrato come il futuro della politica economica verta su tematiche etiche ed ecologiche), sta dando vita a numerose realtà virtuose che dagli anni ’80 ad oggi producono cotone organico certificato, fino a rappresentare una risorsa fondamentale per il rilancio dell’economia di alcuni paesi del Terzo Mondo.
Il cotone certificato bio è comodo, anallergico, traspirante e molto resistente. Le sue fibre sono riciclabili e biodegradabili. Il marchio GOTS , che certifica il cotone e la lana bio utilizzati dalla linea di abbigliamento ecologica venduta da Bimbo e Natura, impone rigidi criteri normativi che permettono la certificazione dell’intera filiera compresa la qualità delle condizioni di lavoro, con particolare attenzione alla normativa ILO che ne definisce i criteri sociali minimi. Qui il link alla pagina Standard GOTS dell’Istituto di Certificazione Etica e Ambientale.
Insomma, perché no? Fare del bene a noi fa bene al pianeta.