Pannolini lavabili: ritorno al passato o scelta intelligente?

Quando pensiamo ai pannolini in cellulosa, o più comunemente “usa e getta”, viene spontaneo pensare al sospiro di sollievo che generazioni di mamme tirarono quando il progresso tecnico-scientifico le ha sollevate dal gravoso compito di lavare le fasce in lino (da qui “panno-lino”), in cotone o i ciripà che fino agli anni ’60 hanno svolto lo stesso compito dei nostri evoluti pannolini usa e getta.

Ma siamo così sicuri che si tratti realmente di progresso? O meglio, quali sono i costi effettivi di un prodotto che indubbiamente ha sgravato le nostre mamme e nonne da un’incombenza ma che, alla lunga, potrebbe presentare il conto? Sempre più genitori scelgono di rivolgersi di nuovo alla soluzione del pannolino lavabile e sulla questione la regista Jaquelin Farmer ha persino girato un docufilm, “Couchorama, the diaper dilemma”, presentato nel 2012 al Festival CinemAmbiente di Torino.

Ci sono almeno due ordini di ragioni strettamente correlate che validano questa scelta: innanzi tutto, i pannolini usa e getta sono a tutti gli effetti una bomba ecologica. Se pensiamo che ogni giorno, solo in Italia, ne usiamo una media di 6 milioni e che un bambino tra gli zero e i due anni e mezzo di vita ne consuma circa 1,5 tonnellate, possiamo immaginare la mole di rifiuti che immettiamo nell’ambiente, senza contare le ricadute pesantissime dovute al ciclo di produzione e smaltimento: parliamo di rifiuti non riciclabili e non smaltibili in discarica, prodotti a partire da polpa di legno e petrolio, che impiegano 500 anni per decomporsi emettendo tonnellate di anidride carbonica durante l’intero ciclo, senza dimenticare che spesso vengono smaltiti direttamente negli inceneritori, con dannose emissioni tossiche di diossina.

Se non bastasse la necessità di eliminare questo 10% di rifiuti urbani prodotti solo sul suolo nazionale, c’è sicuramente un’altra ragione che spinge i genitori a orientare la propria scelta in modo “diverso” e a preferire i pannolini lavabili: è ormai evidente che non tutte le tecnologie diffuse in seguito al così detto boom economico, volte a sveltire quelle attività che non rientravano strettamente nel ciclo della produzione e dei consumi, avevano a cuore la salute dell’individuo. Così ora torniamo a chiederci se siamo sicuri di volere esporre la pelle delicata del nostro bambino al contatto con agenti chimici e materiali altamente irritanti quali i silicati che garantiscono la super assorbenza, come il famigerato sodio policloridato. Come sappiamo, sempre più bambini sono soggetti ad allergie e non possiamo non tenere conto degli ingredienti altamente allergizzanti presenti nei comuni pannolini, quali gli ftalati, la formaldeide e il cloro usato per igienizzare e sbiancare la cellulosa; non ultime le lozioni idratanti e i profumi anti odore, che se da una parte tendono a rendere inodori i normali processi fisiologici, dall’altra sembrano dimenticare che l’obiettivo primario non dovrebbe essere un’astratta “idea di pulito” ma la reale salute dei nostri figli. Inoltre, sembra ormai confermato che l’alta assorbenza dei pannolini comuni ritardi l’età in cui il bambino impara a rendersi autonomo circa i propri bisogni fisiologici: la sensazione di umidità permette al bimbo intorno all’anno e mezzo di percepire chiaramente quando ha orinato e di associare lo stimolo alla necessità di ricorrere al vasino. Diversamente la sensazione di asciutto non permette di collegare facilmente lo stimolo alla risposta.

Ecco che se a queste ragioni di eco sostenibilità e salute psicofisica aggiungiamo anche che dopo una spesa iniziale i costi dei pannolini lavabili in materiali naturali non allergizzanti vengono notevolmente ammortizzati nel tempo; se pensiamo inoltre che i pannolini di un figlio possono essere riutilizzati dai fratellini e sono regolabili nella taglia (quindi utilizzabili fino a che il bimbo non diventa autonomo), optare per questi ultimi non sa più di ritorno al passato ma di scelta intelligente e molto lungimirante, sotto tutti i punti di vista.